L’evoluzione del gusto
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Il gusto a livello fisiologico deriva dalla stimolazione dei recettori gustativi presenti nella cavità buccale. La trasmissione nervosa che ne deriva permette di controllare le sostanze che vengono introdotte nel tratto gastrointestinale. I recettori del gusto distinguono fondamentalmente i gusti dolce, salato, amaro, umami e aspro. Il dibattito per quanto riguarda le tipologie di gusto ai quali siamo sensibili è ancora aperto, difatti alcuni sostengono che andrebbero aggiunti ai suddetti anche il metallico e quello di acido grasso.

Spesso il gusto viene confuso con il sapore, che in realtà è la somma di gusto e olfatto. L’olfatto è la percezione derivata dalla stimolazione da parte di sostanze volatili dei recettori olfattivi del naso. La sovrapposizione di gusto con sapore deriva dall’esperienza, difatti il gusto è percepito solitamente in associazione all’olfatto; la singola esperienza del gusto è quella sensazione che proviamo quando siamo fortemente raffreddati e non a caso asseriamo come i cibi non abbiano più ‘sapore’. A livello fisiologico la disambiguazione è dovuta alla ventroloquizzazione dell’odore retronasale, che determina quindi una stretta associazione di stimoli gustativi e olfattivi simultanei. Il nostro cervello impara quindi a legare determinati stimoli gustativi a certi stimoli olfattivi provati nel passato costituendo un ‘portafoglio di esperienza del sapore’. Queste associazioni non si limitano solamente a gusto e odore ma anche a vista e gusto, facendo sì che la percezione del gusto sia modificata dall’aspettativa visiva dell’alimento. Ad esempio quindi dei giovani consumatori inglesi si aspettano che una bevanda dalla colorazione blu sia al gusto di lampone, mentre consumatori indiani si aspettano che la stessa sia al gusto di menta (1).

Al di là della definizione di gusto capiamo come esso si è sviluppato e perché. Lo sviluppo del gusto ha permesso all’individuo di discriminare tra i vari alimenti e quindi distinguere tra cibi buoni, energetici (associati al gusto dolce), tossici (amaro), salati (importanti per l’equilibrio idro-elettrolitico dell’organismo). Già con questa distinzione capiamo come la prospettiva evoluzionistica (tenete a mente il primario obiettivo di sopravvivenza in periodi caratterizzati da carestie o qualsivoglia limitazione alimentare) abbia naturalmente orientato l’uomo  verso alimenti dolci e densamente energetici che permettessero quindi in un piccolo volume di apportare un buon apporto calorico. Questa naturale tendenza la potremmo definire ‘gusto energetico’, non in quanto sostanza stimolante determinati recettori ma come genetica predisponente a certe scelte. Parallelamente gli alimenti tossici sono stati evoluzionisticamente associati ad alimenti amari e quindi da evitare.

Detto questo non dobbiamo meravigliarci quando un bambino ricerca alimenti dolci e rifiuta allo stesso modo quelle verdure leggermente amare che noi con tanto sforzo cerchiamo di inserire nella sua alimentazione. Tuttavia non dobbiamo rassegnarci in quanto, come personalmente riscontriamo, i gusti vengono fortemente modificati dall’esperienza. E così vediamo che il Caffè piace a molte persone adulte pur essendo caratterizzato da una forte nota amara, le verdure che da piccoli evitavamo adesso sono diventate le nostre preferite e così via.

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L’evoluzione del gusto è un’esperienza che inizia in età fetale in maniera indiretta attraverso i cibi che la madre assume. Attraverso il liquido amniotico infatti il bambino è esposto a varie sostanze che la madre introduce con la propria alimentazione ed è quindi importante che sia il più possibile variegata durante la gravidanza ma anche durante l’allattamento così che il bambino entri  in contatto in maniera naturale con una gamma variegata di gusti. Se il bambino li ha già incontrati, anche se in maniera indiretta li categorizzerà meno come ‘nuovi’ (e quindi da evitare) una volta pienamente entrati in contatto con le sue papille gustative. L’atteggiamento di ostilità nell’introduzione di alimenti ‘nuovi’ è ciò che viene definita neofobia, presente nel 20% dei bambini.

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Ma dopo quante prove abbiamo per così dire l'”autorizzazione” ad arrenderci nel presentare al bambino un alimento ‘nuovo’? Alcuni studi mostrano come siano necessarie anche 7-8 esposizioni affinché il bambino accetti l’alimento in maniera stabile (2). Ma questi nostri sforzi sono negli anni ricompensati in quanto le preferenze stabilite nei primi 2-3 anni di vita sono mantenute fino all’età adulta (3).

Non solo i genitori risultano quindi di primaria importanza nel ruolo di guida alla modifica necessaria e determinante dei sapori, ma anche la modalità con la quale questa attività si esplica ha il suo peso. Infatti un’esperienza gustativa negativa può far escludere un cibo per anni, mentre esperienze positive possono fare introdurre stabilmente nuovi alimenti. Approfondiremo questa tematica nei prossimi capitoli dedicati allo sviluppo del gusto. Come nota finale vorrei evidenziare come la componente genetica influisce per il 78% sulla scelta di cibi proteici, per il 51% nella scelta di frutta e per il 37% nella scelta dei vegetali, secondo studi condotti con gemelli (4).

 

Bibliografia:

1. Spence C., Multisensory flavour perception, Current Biology, Vol 23 N° 9 R365-R369.

2.Maier A, Chabanet C, Schaal B, Issanchou S, Leathwood P. Effect of repeated exposure on acceptance of initially disliked  vegetable  in 7-months old infants. Food Quality and preferences. 2007, 18; 1023-1032

3. Nicklaus S, Boggio V, Chabanet C, Issanchou S. A prospective study of food variety seeking in childhood, adolescence and early adult life. Appetite. 2005 Jun; 44(3):289-297.

4.Wardle J, Cooke L. Genetic and environmental determinants of children’s food preferences. Brit J Nutrit 2008; 99 Suppl. 1, S15-S21

#Educational2 giugno 2016