Nella prima parte dell’articolo dedicato al pesce (qui il link) abbiamo imparato come proteggerci da un’eccessiva esposizione da metilmercurio. In questa seconda parte indicheremo quell’equilibrio che permetta di ottenere il massimo dei benefici e il minimo dei rischi dal consumo di pesce.
Ricordiamo prima di tutto che il pesce coniuga l’assunzione di una fonte proteica ad alto valore biologico, facilmente digeribile, contenente minerali preziosi (selenio, iodio), vitamine (vitamina D, A) e grassi definiti ‘buoni’, nello specifico gli omega-3.
I grassi possono essere catalogati secondo diversi criteri. Principalmente si parla di grassi saturi quando la catena di acido grasso è satura di ioni idrogeno e perciò è costituita solamente da legami singoli tra i vari atomi di carbonio. Questi grassi sono solitamente solidi a temperatura ambiente (ho scritto solitamente perché un altro fattore influente è la lunghezza della catena) e maggiormente presenti in prodotti di origine animale anche se non mancano esempi in prodotti vegetali come il grasso del cocco e della palma. I grassi insaturi sono invece costituiti da catene di carbonio che presentano doppi legami al loro interno; essi di suddividono a loro volta in monoinsaturi (singolo doppio legame) o polinsaturi (più doppi legami). Sono maggiormente liquidi a temperatura ambiente perché il punto di fusione si abbassa all’aumentare del grado di insaturazione.La lunghezza della catena di acido grasso li suddivide in grassi a catena corta (da 1 a 5), media (da 6 a 12), lunga (da 13 a 21), molto lunga (uguale o superiore a 22).Alcuni acidi grassi sono sintetizzati dal nostro organismo, altri no, un esempio sono gli omega-3 e gli omega-6, per questo definiti Acidi Grassi Essenziali (AGE).
Sempre più spesso si sente parlare di omega-3. Ma che cosa indicano? Gli omega-3 sono dei grassi a catena lunga (atomi di carbonio > di 20), polinsaturi con un doppio legame a livello dalla 3° posizione a partire dal carbonio terminale.
Gli omega-3 più importanti, quantitativamente parlando, sono l’acido alfa-linolenico (ALA), l’acido eicosapentanoico (EPA), docosapentanoico (DPA) e docosaesanoico (DHA). EPA, DPA e in minor misura DHA sono sintetizzati a partire da ALA. L’ALA non è sintetizzato dal corpo umano ma è necessario per l’integrità metabolica, per il quale è considerato un AGE. L’ALA si trova in alcuni alimenti vegetali come semi di lino, semi di colza, noci, mentre il pesce è l’unica fonte ricca di EPA e DHA.
Studi hanno evidenziato gli effetti benefici degli omega-3 su parametri cardiovascolari come concentrazione di triacilgliceroli plasmatici, aggregazione piastrinica e pressione arteriosa, ma il loro ruolo è importante anche per i processi infiammatori. Se gli omega-6 sono definiti pro-infiammatori poiché precursori dell’acido arachidonico, gli omega-3 di contro anti-infiammatori in quanto precursori di molecole come le resolvine, il cui nome suggerisce l’attività anti-infiammatoria. Inoltre contrastano nel contempo la formazione di composti molto infiammatori come i leucotrieni e prostaglandine a partire dall’acido arachidonico.
Proprio per le caratteristiche benefiche sopracitate il comitato Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA) dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha indicato i seguenti livelli di assunzione consigliati di omega-3(1):
-250 mg/die di EPA+DHA in adulti, considerando il benessere cardiovascolare;
-100 mg di DHA in infanti/lattanti dai 6 ai 24 mesi
-non ci sono proposte di assunzione suggerite per bambini dai 2 ai 18 anni ma i consigli nutrizionali posso essere paragonati a quelli della popolazione adulta (ovvero 1 o 2 porzioni di pesce grasso alla settimana o 250 mg di EPA + DHA al giorno)
-250 mg/die di EPA+DHA più dai 100 ai 200 mg di DHA preformata per donne in gravidanza o allattamento.
Ma veniamo al giusto equilibrio tra i rischi e i benefici del consumo di pesce. I fattori maggiormente impattanti nella qualità nutrizionale e nella contaminazione del pesce sono: specie, stagione, luogo di pesca, dieta, età dell’animale e fase di vita. Come ricorderete dallo scorso articolo la concentrazione di mercurio è relazionata all’età del pesce e alla posizione della specie nella catena alimentare (i pesci predatori e più vecchi hanno maggiori concentrazioni di mercurio). Allo stesso tempo diversamente dai contaminanti persistenti, come diossina e PCBs, il contenuto di mercurio non è proporzionale al contenuto di grasso e quindi non è una caratteristica specifica dei pesci grassi.
Detto questo possiamo effettuare la prima deduzione: a parità di concentrazione di mercurio i pesci grassi hanno il pregio di essere maggiormente ricchi di omega-3.
Nello scorso articolo abbiamo detto che la contaminazione di mercurio è dovuto all’inquinamento dei mari e quindi i pesci allevati sono più sicuri? Sotto il profilo dell’inquinamento da metilmercurio si, proprio perché caratteristico del livello di inquinamento marino. Questo dovrebbe indurci ad acquistare pesce allevato? No! Capiamo il perché. Se la concentrazione di mercurio è minore nei pesci allevati, l’altro fattore du cui tener conto, ovvero il contento di omega-3 è allo stesso modo ridotto. I pesci allevati, pur esistendo diverse modalità e approcci di allevamento più o meno sostenibile e responsabile, sarà caratterizzato da uno spazio ridotto dove la concentrazione di pesci più elevata aumenta il rischio del dilagarsi di malattie, che di pari passo spinge all’utilizzo di trattamenti ‘sanitari’. La ridotta possibilità di movimento risulterà in un pesce più grasso (avete mai confrontato un salmone selvaggio da uno allevato, anche il colore cambia!).
Poche righe fa abbiamo detto che i pesci grassi sono maggiormente ricchi di omega-3, quindi è una caratteristica positiva! Si, ma solo se quel grasso si è sviluppato in seguito ad un’alimentazione costituita da alghe, plancton ed altri pesci! Nell’allevamento vengono utilizzate misture, contenenti tra gli altri sfarinati, molto povere di omega-3.
Quali le considerazioni finali?
La maggior parte delle linee guida alimentari Europee raccomandano un minimo di 2 porzioni (ciascuna di 150 gr circa) di pesce alla settimana per i bambini più grandi, adolescenti e adulti per assicurare l’assunzione di nutrienti chiave, nello specifico omega-3 ma anche vitamina D, iodio e selenio.
3-4 porzioni alla settimana in gravidanza sono stati associati a migliori outcome funzionali nel neurosviluppo del bambino in comparazione ad altri prodotti. Due grandi studi prospettivi condotti in Europa (UK e Danimarca) hanno riportato associazioni positive significative tra il consumo di pesce o prodotti di pesce durante la gravidanza e outcome funzionali nel neurosviluppo dei bambini, una delle quali includeva la misura del quoziente intellettivo.
Negli studi sugli effetti benefici del pesce nel neurosviluppo del feto non è da sottovalutare l’influenza di selenio che varia tra le diverse zone di pesca. Questo minerale difatti agisce nella detossificazione dell’organismo, nella fisiologica funzionalità tiroidea e immunitaria come cofattore di numerose selenoproteine, nonché nella prevenzione del cancro attraverso vari meccanismi d’azione (2). Alcuni studi iniziali che spinsero a disincentivare il consumo di pesce in gravidanza a causa dell’elevato contenuto di mercurio erano alterati da un elevato rapporto mercurio:selenio. Il pesce ricco in Selenio limita i rischi di esposizione al mercurio poiché questi due elementi hanno un elevata affinità di legame, il composto che ne deriva è poco solubile e quindi la sua presenza nella carne dei pesci predati non è biodisponibile per il predatore causando un accumulo nel sedimento (3).
I pesci oceanici sono solitamente ricchi in selenio, al contrario di pesci di fiume dove il rapporto tra selenio e mercurio può variare a seconda del contenuto di selenio del suolo, del pH dell’acqua e altri fattori ancora.
Alle indicazioni date sopra aggiungerei di scegliere pesce pescato e non allevato, di optare per pesci di piccole dimensioni e utilizzare almeno 1-2 volte a settimana pesce grasso.
Bibliografia:
- European Food Safety Authority (EFSA), Statement on the benefit of fish/seafood consumption compared to the risk of methylmercury in fish/seafood,, EFSA Journal, 2015, 13(1):3982.
- Wrobel, J K, Power, R, Toborek, M, Biological Activity of Selenium: Revisited, International Union of Biochemistry and Molecular Biology, 2016, 97-105.
- Ralston N V C, Raymond L J, Dietary selenium’s protective effects against methylmercury toxicity, Toxicology, 2010.