La prima domanda alla quale vorrei rispondere è: c’è una effettiva associazione positiva tra cibo ed umore? Assolutamente si, esperimenti hanno dimostrato come le persone abbiano una riduzione della disforia in seguito al pasto, ma l’effetto è naturalmente momentaneo! (1).
In letteratura vari esperimenti hanno dimostrato come il cibo determini rilascio di dopamina, neurotrasmettitore alla base del meccanismo di motivazione e ricompensa. Le ricompense più efficaci sono quelle che modificano le emozioni e l’alimentazione fa parte di essi, stimolando il cervello in modo da provocare un piacere momentaneo. Lo studio di Small et al ha evidenziato inoltre come la dopamina rilasciata è proporzionale alla palatabilità (gradevolezza nel gusto) dell’alimento (2).
Ma quali ingredienti nello specifico svolgono questo ruolo?
I junk foods, non a caso sono caratterizzati dalla presenza di tre elementi base: zucchero, grasso, sale. Questi ingredienti attivano il meccanismo di ricompensa/gratificazione mediato dalla dopamina nel nucleus accumbens del sistema limbico, determinando l’associazione del suddetto cibo al piacere che ne è derivato! Lo studio di Avena et al ha dimostrato come la combinazione di dolce e grasso attivi multipli recettori del gusto, segnali post-ingestione e sistemi neuropeptidici, spiegando la loro capacità di provocare abbuffate.
Un’esposizione cronica a cibi altamente palatabili modifica il nostro cervello, spingendoci alla ricerca di continui stimoli. Nel tempo, la potente combinazione di zucchero, grasso e sale compete con la nostra capacità di dire no. Capiamo allora come si instaura la cronicizzazione dei comportamenti tipici della sovralimentazione.
In primo luogo vi è il riconoscimento del miglioramento dell’umore in seguito al consumo di determinati cibi, che ad ogni esposizione diventano rinforzi dell’insegnamento acquisito, motivandoci a tornare a compiere quelle azioni che ci fanno sentire bene. Così ogni qualvolta veniamo esposti allo stimolo la nostra memoria ricorda l’emozione associata ad esso, spingendoci ad assecondarlo. Le emozioni amplificano la ricompensa, riducendo la capacità di controllo della situazione. Le azioni determinano risposte, e le risposte generano azioni!
La messa in atto ripetuta di queste azioni fa si che diventino abitudini automatiche, dove la componente emozionale (desiderio di sentirsi meglio) risulta piano piano superflua. Lo stabilirsi di abitudini tipo stimolo-risposta risulta largamente inconscio ed arduo da controllare. Inoltre laddove si stabilisce un’abitudine si rimane altresì insoddisfatti dalla discrepanza tra la ricompensa che ci aspettavamo e l’esperienza attuale. Per rivivere quindi il passato livello di soddisfazione, possiamo essere guidati a volerne di più, più novità, più stimolo, più calorie. Due pezzi di torta anzi che uno!
Ultimo particolare ma non meno importante: solo gli alimenti altamente palatabili risultano capaci di creare il circolo vizioso descritto anche in assenza di fame!
Bibliografia:
(1)B. Spring, K. Schneider, M. Smith, D. Kendzor, B. Appelhans, D. Hedeker and S. Pagoto, Abuse potential of carbohydrates for overweight carbohydrate cravers, Psychopharmacology (Berl), 2008 May ; 197(4): 637–647.
(2)D. M. Small, M. Jones-Gotman and A. Daghera, Feeding induced dopamine release in dorsal striatum correlates with meal pleasantness ratings in healthy human volunteers. Neuroimage, 2003; 19:1709–1715.
(3) N. M. Avena, P. Rada and B. G. Hoebel, Evidence for sugar addiction: behavioral and neurochemical effects of intermittent, excessive sugar intake, Neurosci Biobehav, Rev. 2008 ; 32(1): 20–39.
(4)J.R. Ifland , H.G. Preuss, M.T. Marcus, K.M. Rourke, W.C. Taylor, K. Burau, W.S. Jacobs, W. Kadish, G. Manso, Refined food addiction: a classic substance use disorder, Medical Hypotheses 72, 2009, 518–526.
(5)J. A. Corsica and M. L. Pelchat, Food addiction: true or false?, Current Opinion in Gastroenterology, 2010, 26:165–169.