In estate si ha la massima ricchezza e varietà di verdura e frutta. Le molteplicità della scelta, le elevate temperature, l’avvicinarsi delle vacanze e la riduzione della voglia di stare ai fornelli a volte spinge ad abusarne, soprattutto nel caso della frutta per la sua comodità e assenza di preparazione. Spesso questo atteggiamento va di pari passo con la volontà di ridurre l’apporto calorico.
Alcune persone maggiormente sensibili o chi effettivamente ne esagera potrebbe manifestare effetti negativi come un eccessivo gonfiore. Ma perché questo accade?
La frutta è una categoria di alimenti caratterizzata da un gusto dolce grazie alla presenza di fruttosio e da una buona capacità saziante per la presenza di fibre solubili. Alle volte è anche identificata come alimento che fa ‘ingrassare’. Nel corso del testo capiremo il perché di queste affermazioni.
La frutta è caratterizzata dalla presenza di di fibre, ovvero molecole non digerite dall’organismo, di tipo solubile in ambiente acquoso. A livello gastrico si forma quindi una sorta di gel con il relativo effetto saziante. Il consiglio che spesso alcuni nutrizionisti danno di evitare la frutta a fine pasto è dovuto principalmente al fatto che in questo modo si ‘assicurano’ (o almeno aumentano le probabilità) di uno spuntino a base di frutta, ma non vi è una ragione reale per non abbinarla al pasto, anzi trovo che l’effetto saziante delle fibre insieme al gusto dolce tipico della frutta siano un’ottima conclusione del pasto.
La capacità di formare una consistenza gelatinosa è anche utilizzata nella produzione di marmellate o composte di frutta. L’utilizzo della mela è dovuto al suo alto contenuto della fibra solubile pectina. Per la ricetta di una composta di frutta senza cottura leggete qui.
Il fruttosio è la molecola che conferisce dolcezza alla frutta. La sua conformazione lievemente diversa da quella del glucosio determina un diverso assorbimento, trasporto e utilizzo da parte dell’organismo. Il fruttosio inoltre, a differenza del glucosio, non è indispensabile per alcuna funzione fisiologica ad oggi conosciuta. Anzi se introdotto in eccessive quantità determina un grande lavoro a carico del fegato.
Il fruttosio è assorbito a livello intestinale grazie al trasporto mediato (ovvero facilitato, altrimenti la molecola così com’è non sarebbe in grado di oltrepassare la membrana dell’intestino) delle proteine GLUT5 e in minor misura GLUT2. I trasportatori facilitati sono delle proteine traghettatrici, che permettono l’attraversamento della membrana. Tutti i trasportatori hanno una soglia di saturazione e in presenza di una quantità eccessiva di passeggeri da trasportare (nel nostro caso molecole di fruttosio), non sono di fatto capaci di coprire a pieno la richiesta. Gli eccedenti sono destinati quindi a permanere nel lume intestinale per un tempo maggiore. Gli zuccheri in generale, tra cui il fruttosio, sono substrati facilmente fermentabili dai batteri intestinali con la conseguente produzione di gas. A livello macroscopico si ha gonfiore, a volte accompagnato da dolore. Ecco così spezzato il sogno di ottenere un ventre da spiaggia col consumo di sola frutta in sostituzione del pasto.
Questa conseguenza è ancora più marcata nel caso di persone affette da sindrome dell’intestino irritabile (IBS). Ne avevo parlato in questo articolo, insieme al protocollo più indicato per trattarla a livello dieto-terapico. La frutta caratterizzata da un eccessiva presenza di fruttosio o di un squilibrato rapporto glucosio/fruttosio è la meno consigliabile, tra di essa la mela.
Visto che ho parlato di fruttosio, vorrei allargare l’argomento considerando anche il metabolismo successivo all’assorbimento. Qualche anno fa veniva consigliato addirittura di utilizzare il fruttosio al posto del normale saccarosio (zucchero da tavola) ai diabetici per il suo minore incremento della glicemia nel periodo postprandiale e il suo metabolismo indipendente dall’insulina. Studi successivi hanno contraddetto questa ipotesi per l’osservazione di un’aumentata concentrazione di trigliceridi plasmatici sia a digiuno che nella fase postprandiale in seguito al suo utilizzo. In questo modo infatti si espone l’organismo ad un effetto pro-aterogenico, controbilanciando il possibile beneficio del controllo glicemico.
L’aumento della concentrazione di trigliceridi plasmatici è dovuto, in parte, alla capacità del fruttosio di stimolare la de novo lipogenesi epatica, ovvero la produzione da parte del fegato di nuovi trigliceridi rilasciati nel plasma in associazione con le VLDL. L’acronimo corrisponde a very low density lipoprotein, semplicemente piccole vescicole responsabili, insieme ad altre simili in struttura, del trasporto di grassi nel circolo sanguigno. Esse sono responsabili del trasporto del colesterolo dal fegato ai tessuti e durante questo viaggio si trasformano in LDL (low density lipoprotein), per questo sovente associate al colesterolo ‘cattivo’. L’aumento della concentrazione di trigliceridi plasmatici in seguito al consumo di fruttosio è in secondo luogo dovuto alla riduzione in acuto della clearance dei trigliceridi associati alle VLDL nel tessuto adiposo. Questo secondo meccanismo è anche il maggiore responsabile dell’effetto osservato.
La causa degli effetti negativi soprammenzionati non deriva dall’assunzione di 2-3 porzioni di frutta giornalieri, ma nell’abuso di zuccheri semplici in regimi ipercalorici e all’utilizzo sempre più sovente di sciroppo di glucosio-fruttosio in molti generi alimentari. Il suo utilizzo è favorito dal basso costo e da caratteristiche quale elevata solubilità in ambiente acido che lo rendono perfetto per le bibite di uso comune. Questo sciroppo è presente anche in biscotti, cereali, dolci, snack, ketchup e alcuni tipi di yogurt.
Bibliografia:
Tappy L., Q&A: ‘Toxic’ effects of sugar: should we be afraid of fructose?, BMC Biology, 2012, 10:42.